Imprese e imprenditori sociali di tutto il mondo, unitevi. Si potrebbe sintetizzare così, forse con un po’ di enfasi, la tre giorni del Social Enterprise World Forum 2015 che si è aperta mercoledì a Expo e si è poi trasferita all’Università Iulm a Milano. Ma l’enfasi in effetti ci può stare, perché il SEWF 2015, organizzato per la prima volta in Italia da Fondazione ACRA-CCS, è il principale appuntamento mondiale per l’economia sociale, o social business.
Le imprese sociali hanno ormai messo radici in tutto il mondo. E grazie anche al loro elevato tasso di biodiversità (al Sewf sono arrivati da tutta Europa e dagli Usa, America Latina, Africa, Asia, da Taiwan con una nutritissima delegazione), stanno sviluppando una sempre più robusta e credibile narrazione di un nuovo modello di sviluppo che tenga insieme le istanze sociali, ambientali ed economiche. Al punto da poter oggi lanciare una sfida un tempo impensabile. «L’impresa sociale deve diventare il modo normale di fare impresa», ha affermato Humza Yousaf, ministro per lo Sviluppo internazionale in Scozia. In sintonia con la sua visione, molti altri interventi che hanno animato le dense giornate di Sewf. «Il business as usual non è più vincente», ha affermato Sonia Cantoni del Cda di Fondazione Cariplo (partner strategico di SEWF2015 con l’Università Iulm), ricordando come «a legare la filantropia e l’impresa sociale c’è la passione per il bene comune».
In relazione ai tratti più caratterizzanti delle imprese sociali a ogni latitudine, Francesco Pozzobon, direttore advocacy e impact investing di ItaliaCamp (partner organizzativo di SEWF con Opes Impact Fund, Gruppo cooperativo Cgm e Make a change), ha parlato di un comune «atteggiamento mentale». Lo stesso Enrico Giovannini, esperto di livello internazionale in fatto di misure e indicatori di benessere, citando anche l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco ha detto chiaramente che «l’era del Pil è finita, occorre un cambio di paradigma». Così pure Giovanna Melandri, presidente di Human Foundation: «Sviluppo e sociale non si possono più considerare separatamente». E anche l’economista Stefano Zamagni ha sottolineato come sia giunta l’ora di «prendere atto, anche a livello accademico, che si può essere imprenditori senza perseguire come fine primario il profitto».
Fra gli indicatori di benessere alternativi al Pil, fra cui il Bes-Benessere equo e sostenibile sviluppato da Istat e Cnel a cui le imprese sociali guardano con più attenzione, c’è ad esempio il Social Progress Index che sta mostrando grande adattabilità a contesti sia macro che micro: prendendolo a riferimento la Fundación Paraguaya di Martin Burt ha sviluppato il “semaforo della povertà“, uno strumento di auto-diagnosi che permette alle famiglie più povere di prendere coscienza e quindi agire col supporto della comunità sulle principali dimensioni che determinano la loro condizione.
Sono ormai molteplici, insomma, e assai eterogenee le esperienze a livello mondiale che dicono che l’economia sociale ha basi solide. E ha una visione di futuro. «Tante persone sparse per il mondo – sintetizza Stefano Granata, presidente di Gruppo Cgm – stanno dicendo che il modello di impresa sociale può essere un’alternativa al modello capitalistico. Entrare nel cuore del sistema, che è l’economia, è l’unico modo per rendere il pianeta sostenibile».